di Davide Ceraso
Primo quarto
Cosa può riservarti il destino se nasci nei sobborghi di Washington, se ti chiami Delonte – ogni madre americana ha una fantasia unica nel scegliere i nomi ai propri figli – e se nel profondo della tua mente hai un demone cui dar conto ogni singolo giorno?
Con tutta probabilità nulla di buono ma Delonte, oltre a celare un demone in collera, ha un talento debordante che scorre nelle vene di un corpo ossuto, una capacità innata di predicare basket nei due lati del campo che emerge fin dalle prime partite all’interno di un’anonima palestra all’Eleanor Roosevelt High School. Giocatori così nascono poche volte e lui non passa inosservato. Dopo quattro anni abbandona la sua città d’origine non appena la Saint Joseph’s University di Philadelphia offre a Delonte una borsa di studio, una maglia da titolare – la numero 15, accanto a Jameer Nelson, altro talento cristallino – e la possibilità di esprimere il suo gioco. Il risultato? 19 punti e 7 assist di media a gara nell’anno da junior, una percentuale di otre il 41% dall’arco dei tre punti. Delonte è pronto al grande salto!
Secondo quarto
Giugno.
Madison Square Garden di New York, la Mecca del basket.
Draft 2004, l’evento annuale nel quale le squadre NBA scelgono i loro nuovi giocatori.
Delonte è selezionato dai Boston Celtics, una delle franchigie più vincenti e blasonate della storia della pallacanestro, responsabilità e visibilità che esteriormente non sembrano minare un ragazzo appena vent’enne che firma un contratto e diventa milionario da un giorno all’altro. Inizia la stagione, qualche infortunio ma Delonte conquista un posto in quintetto, vince le partite, gioca nel weekend dell’All Star Game prima che qualcosa s’incrini. Eccessi d’ira, screzi con i compagni, malumori che nessuno riesce a interpretare. Viene quindi ceduto alla squadra di Seattle, poi inizia un vorticoso cambio di casacche che lo porta a Cleveland, di nuovo a Boston e infine a Dallas. Sono trascorsi appena otto anni da quando ha iniziato a calcare i parquet della NBA e nel 2012 la sua carriera è già finita, la stella di Delonte è tramontata non appena ha raggiunto l’apice del suo splendore. E non è finita! La vita ora gli riserva angoli bui dove smarrire muscoli e speranze.

Terzo quarto
Dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima.
Delonte ha sempre avuto uno sguardo triste, un sorriso appena accennato, timido, un ragazzo solitario. È la sua indole, difficile cambiarla, soprattutto se la mente, a volte, ti estranea dal mondo. Dopo l’addio alla NBA guadagna qualche contratto in Cina ma non è più lui. Gioca ancora un paio d’anni prima che le sue tracce si perdano nel groviglio di strade trafficate in qualche metropoli. Riemerge dal nulla nel 2016 in un filmato amatoriale apparso su internet. È scalzo, sporco, in evidente stato di alterazione da droghe e alcool, ha sperperato ogni risparmio, è stato abbandonato da tutti. Poi svanisce nuovamente prima di ricomparire a inizio 2020, smagrito, rantola parole senza senso ammanettato su di un marciapiede. Mark Cuban, multimiliardario nonché proprietario dei Dallas Mavericks dove ha giocato Delonte, vede quelle immagini e senza pensarci un attimo lo rintraccia. Forse saranno state le sue origini umili come quelle di Delonte – Mark, figlio di un tappezziere e di un’operaria, è un imprenditore da quando ha compiuto 12 anni! –, in ogni caso riesce a parlargli convincendolo a disintossicarsi e a curarsi dai suoi problemi mentali. Salgono su di un’automobile e Mark Cuban, a sue spese, lo porta in una clinica.
Quarto quarto
Cosa può riservarti il destino se nasci nei sobborghi di Washington, se ti chiami Delonte e se nel profondo della tua mente hai un demone a cui dar conto ogni singolo giorno?
Oggi Delonte è in grado di rispondere a questa domanda. A settembre, dopo mesi passati in una clinica di riabilitazione con al fianco Mark Cuba, Delonte ha avuto la forza di rialzarsi in piedi e prendere in mano la sua vita. Si è riavvicinato alla madre e da poche settimane lavora proprio nella clinica che l’ha ospitato e salvato.
I tempi della NBA sono lontani così come le strade buie, il demone nascosto nella sua mente si è sopito, forse per sempre, e il cronometro del quarto quarto sta ticchettando, si gioca, la partita di Delonte non è ancora finita…
