Il destino tra i piedi. Storie di riscatto con il pallone

Cambiamo per un attimo prospettiva, lasciamo indietro i luoghi comuni…

Il calcio è salvezza? Rivalsa? Può esserlo, e gli esempi non sono rari. Questo non significa che ricchezza e fama siano i criteri con i quali si valuta la felicità -si è felici quando si ha il cuore pieno- ma l’idea che dalla passione e dall’impegno possa sbocciare un’alternativa a un’esistenza altrimenti drammatica, è un qualcosa che trasmette speranza.

I campi da calcio di tutto il mondo sono crogiuolo di storie, simbolo del “potere” dello sport. Vicende simili, ma al contempo uniche per sofferenza vissuta e riscatto conquistato. Ne raccontiamo quattro, ognuna contraddistinta da una sfaccettatura di vita differente.

Criminalità: il pallone che prende il posto di spari e droga

Carlos Tevez, campione argentino con le maglie di Manchester City, Manchester United, Juve e Boca Junior, da giovanissimo ha lasciato alle spalle il pericoloso quartiere nativo di Buenos Aires dove è cresciuto, Fuerte Apache, per approdare sui più prestigiosi campi europei e non solo, sfondando le difese avversarie. Le partitelle per strada, da piccolo, non era raro che venissero interrotte da sparatorie improvvise o violenti regolamenti di conti. Il miglior amico di Tevez, Dario Coronel, se la cavava alla grande con la palla, superò addirittura un provino per il Velez, lasciando l’amico “indietro”. Poi però, è lo stesso calciatore a raccontarlo “Dario scelse un’altra strada, quella della criminalità, forse quella che sembrava più semplice”. Coronel si sparò qualche anno più tardi per non farsi catturare, una volta messo con le spalle al muro dalla polizia. Una fine infausta, non così inusuale in un ambiente dove “non ci sono regole, ognuno fa quel che vuole”. Tevez, vero mastino in campo, si confessa: “Sono cresciuto in un posto dove la droga e gli omicidi erano all’ordine del giorno. Ho fatto esperienze dure, crescendo molto in fretta. Fortunatamente la vita mi ha permesso di fare una scelta. Non so se essere cresciuto in quell’ambiente ha fatto di me un calciatore più battagliero, ho sempre giocato a modo mio, ma è possibile”. Come una favola perfetta, un cerchio che si chiude, la sua vita dietro al pallone è iniziata in Argentina nel Boca Junior e, dopo un vincente girovagare per il mondo (Cina compresa) oggi milita nuovamente nel “suo” Boca. Tevez e la sua parabola da Fuerte Apache al successo sono raccontate una serie tv su Netflix.

Prodigio, ma con il corpo che non è in grado di crescere

Lionel Messi, 6 palloni d’oro, record su record, legittimo erede di Maradona, prodigio del calcio. Adesso ne siamo convinti ma, a 13 anni, nonostante ottime prospettive, il River Plate non investe su di lui, perchè il ragazzino è piccolo: il talento straborda, la sua velocità è straniante, ma due anni prima gli è stato diagnosticata una tipologia di ipopituitarismo, una carenza di secrezione di somatotropina. Tradotto per i non addetti ai lavori, gli ormoni della crescita non fanno il loro lavoro e Lionel non supera i 140 centimetri. Non a caso, ancora oggi, il soprannome del calciatore è “la Pulce”. La cura esiste e potrebbe essere efficace, ma papà operaio in acciaieria e mamma donna delle pulizie non possono permettersi determinate terapie. Ma a 17 anni Carles Rexach, direttore sportivo del Barcellona, decide di investire sul “ragazzo piccolo”: il club catalano si impegna a pagare le cure, Messi si trasferisce in Spagna e firma -la leggenda narra che il contratto sia stato siglato su un tovagliolo di carta- e comincia la leggenda. Messi oggi misura 1,69 cm di altezza: non una colonna, ma sicuramente un gigante della storia del calcio moderno.

Le Banlieu di Parigi sul tetto del Mondo

La storia di Kylian Mbappè non è fatta di droga, alcol, delinquenze. Niente di tutto ciò, è piuttosto il racconto di speranza di un ragazzo che viveva in una Francia dimenticata, lontana da centri sportivi di prestigio o da aree metropolitane sotto i riflettori dei media. Proveniente da genitori di origini algerine e camerunensi, Kylian vive nelle banlieu di Parigi, precisamente a Bondy, dove a farla da padrone è l’oblio, l’arte dell’arrangiarsi, anche con metodi non convenzionali. Per utilizzare un’espressione non elegantissima, un’area “dimenticata da Dio”, dove i problemi assumono dimensioni surreali dato lo stato di abbandono da parte delle autorità e la contemporanea costante tensione sociale. Per far comprendere al lettore il clima, Bondy è a poca distanza da Saint Denis, la “terra di nessuno” dove si nascosero gli attentatori del Bataclan.

Mbappè sembra nutrirsi di questo clima per altri soffocante, non sprofonda nella pesante atmosfera, ha solo il pallone in testa e non tarda a farsi notare: il ragazzo è nato nel dicembre del 1998 e in 20 anni è stato in grado di vincere campionati, battere record di precocità, “incarnare” nel suo passaggio al Paris Saint Germain una delle operazioni di calciomercato più costose della storia, ma soprattutto di portare la Francia -proprio quella nazione che spesso dimentica le aree dove Mbappè e i suoi fratelli sono cresciuti- sul tetto del mondo con la conquista del mondiale nel 2018. Una rivincita sociale, un riscatto che è stato vissuto come tale da Bondy e dalle banlieu adiacenti, che non esitano a definire Mbappè “Uno di noi”.

L’ascesa rapida di un ragazzo (tipica di chi ai mondiali, sul campo contro l’Argentina, ha zigzagato tra gli avversari sfiorando i 37 chilometri orari) sempre sorridente, che dopo aver alzato la coppa del mondo ha voluto tornare nel suo sobborgo, accolto da giubilo, commentando: “Spero che un giorno uno di voi possa essere al mio posto. E’ molto emozionante tornare qui come campione del Mondo, è il regalo più bello”.

Una storia di speranza, una storia dal lieto fine.

Non mollare mai, crederci sempre

La storia di Jamie Vardy è un qualcosa di incredibile, fiabesco, da film… e infatti ci stanno lavorando alla pellicola. L’inglese, classe 1987, nel 2012 (a 25 anni, non proprio uno sbarbatello per il calcio professionistico) giocava nei dilettanti nel tempo libero, guadagnandosi da vivere come operaio (“I forni mi bruciavano la pelle” ricorda).

Una vita movimentata con turni in fabbrica, un coinvolgimento per rissa che gli costò la libertà vigilata, un provino fallito per colpa dell’altezza limitata (ai tempi) e una conseguente fase buia di demoralizzazione. Ma la passione bruciava dentro, e allora il cammino nei campi dei dilettanti che lo porta a segnare quasi 70 gol in 3 stagioni.

Nel giro di quattro anni l’evolversi delle cose è rapida, irreale, Vardy non “stecca” alcuna chance: viene acquistato dal Leichester, raggiunge brevemente la promozione nel massimo campionato inglese e vince la Premier League nel 2016. L’impresa del “piccolo Leichester” è un qualcosa di fantascientifico, una galoppata stratosferica che ha lasciato sul campo i panzer storici quali il Manchester, il Chelsea, il Totthenam; la vittoria fa il giro del mondo, e viene celebrata la leggenda di Vardy, il trascinatore: Jamie è capocannoniere del campionato e ha letteralmente consegnato il titolo alla squadra a suon di gol.

Manco a dirlo, Vardy ha esordito anche in Nazionale, disputato un europeo e lasciato il segno con un gol di tacco da capogiro contro la Germania. Mai mollare, mai!

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